Codice di Procedura Penale art. 495 - Provvedimenti del giudice in ordine alla prova.Provvedimenti del giudice in ordine alla prova. 1. Il giudice, sentite le parti, provvede con ordinanza [586] all'ammissione delle prove a norma degli articoli 190, comma 1, e 190-bis. Quando è stata ammessa l'acquisizione di verbali di prove di altri procedimenti [238], il giudice provvede in ordine alla richiesta di nuova assunzione della stessa prova [147-bis 2 att.] solo dopo l'acquisizione della documentazione relativa alla prova dell'altro procedimento [468 4-bis] 1. 2. L'imputato ha diritto all'ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico; lo stesso diritto spetta al pubblico ministero in ordine alle prove a carico dell'imputato sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico [468 4, 606 1d]. 3. Prima che il giudice provveda sulla domanda, le parti hanno facoltà di esaminare i documenti [234 s.] di cui è chiesta l'ammissione. 4. Nel corso dell'istruzione dibattimentale [496 s.], il giudice decide con ordinanza [586] sulle eccezioni proposte dalle parti in ordine alla ammissibilità delle prove [240-bis coord.]. Il giudice, sentite le parti, può revocare con ordinanza l'ammissione di prove che risultano superflue o ammettere prove già escluse [190, 190-bis, 509]. 4-bis. Nel corso dell'istruzione dibattimentale ciascuna delle parti può rinunziare, con il consenso dell'altra parte, all'assunzione delle prove ammesse a sua richiesta 2. 4-ter. Se il giudice muta nel corso del dibattimento, la parte che vi ha interesse ha diritto di ottenere l'esame delle persone che hanno già reso dichiarazioni nel medesimo dibattimento nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate, salvo che il precedente esame sia stato documentato integralmente mediante mezzi di riproduzione audiovisiva. In ogni caso, la rinnovazione dell'esame può essere disposta quando il giudice la ritenga necessaria sulla base di specifiche esigenze3.
[1] Comma così modificato dal d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv., con modif., nella l. 7 agosto 1992, n. 356. [2] Comma aggiunto dall'art. 17 l. 7 dicembre 2000, n. 397. [3] Comma aggiunto dall'art. 30, comma 1, lett. f), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. Per l'applicazione del presente comma v. quanto disposto dall'art. 93-bis d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come inserito dall'art. 5-decies, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. InquadramentoL'art. 495 disciplina il procedimento di ammissione della prova. La dottrina (per tutti, ILLUMINATI, 73 ss.) afferma che la disciplina dettata dall'art. 495 (e dall'art. 190) è ispirata ad una sorta di presunzione di ammissibilità delle prove richieste dalle parti, atteso che non sono queste ultime a dover dimostrare la rilevanza e la non superfluità della prova, bensì è il giudice che deve verificare l'insussistenza dei suddetti requisiti. Quanto ai parametri di giudizio che regolamentano la valutazione del giudice, va precisato che: a ) prova superflua è quella che mira a dare la dimostrazione di fatti già dimostrati per tabulas (ad esempio, dagli atti che già fanno parte, ai sensi dell'art. 431, del fascicolo per il dibattimento), ovvero dimostrabili con maggior sicurezza in altro modo (si pensi, ad esempio, a una prova testimoniale vertente sulle medesime circostanze desumibili da un documento); b ) prova irrilevante è quella di scarsa o nessuna importanza in relazione ai fatti oggetto dell'imputazione, o comunque ai fatti che la parte intenda dimostrare. Il diritto alla prova riconosciuto alle parti implica la corrispondente attribuzione del potere di escludere le prove manifestamente superflue e irrilevanti, secondo una verifica di esclusiva competenza del giudice di merito che sfugge al sindacato di legittimità ove abbia formato oggetto di apposita motivazione immune da vizi logici e giuridici (Cass. S.U., n. 15208/2010). Parimenti, nel caso di assunzione di ufficio di nuovi mezzi di prova è riconosciuto alle parti il diritto alla prova contraria, che può essere denegato dal giudice, con adeguata motivazione, solo quando le prove richieste sono vietate dalla legge o sono manifestamente superflue o irrilevanti; con la conseguenza che il giudice di appello, dinanzi al quale sia dedotta la violazione dell'art. 495, comma 2, deve decidere sull'ammissibilità della prova secondo i parametri rigorosi previsti dall'art. 190 (per il quale le prove sono ammesse a richiesta di parte), mentre non può avvalersi dei poteri meramente discrezionali riconosciutigli dal successivo art. 603 in ordine alla valutazione di ammissibilità delle prove non sopravvenute al giudizio di primo grado (Cass. VI, n. 48645/2014). I provvedimenti del giudice in ordine alle richieste istruttorie delle partiIl giudice (e, quindi, nel procedimenti dinanzi al tribunale in composizione collegiale, il collegio, non il suo presidente), dopo aver sentito le parti, provvede con ordinanza all'ammissione delle prove indicate dalle parti, a norma degli artt. 190 e art 190-bis (art. 495, comma 1); nel caso in cui ammetta l'acquisizione di verbali di prove di altri procedimenti, il giudice provvede in ordine alla richiesta di nuova assunzione della stessa prova, solo dopo l'acquisizione della documentazione relativa alla prova dell'altro procedimento (art. 495, comma 1, ultima parte). Deve ritenersi che la mancata audizione delle parti determini una nullità di ordine generale, poiché incide sull'assistenza dell'imputato (art. 178, comma 1, lett. c): trattasi di nullità c.d. « a regime intermedio », sanabile se non dedotta nei termini di cui l'art. 180, e che comunque deve essere eccepita, ai sensi dell'art. 182, comma 2, subito dopo il provvedimento ammissivo; non sussisterebbe alcun vizio se le parti siano state messe in condizione di interloquire, ma non lo abbiano fatto, poiché l'intervento deve ritenersi meramente facoltativo. La forma dell'ordinanza impone, a pena di nullità (ex art. 125, comma 3, c.p.p.), una pur succinta motivazione, che dia conto dell'inesistenza di divieti legislativi all'ammissione della prova e della sua pertinenza, ovvero della non manifesta superfluità e della rilevanza della stessa (art. 190, comma 1). Il provvedimento « non è impugnabile per cassazione, non rientrando tra i provvedimenti per i quali la legge prevede tassativamente la proponibilità del ricorso alla Corte suprema (cfr. art. 606, comma 2). Si tratta, infatti, di un provvedimento privo di contenuto decisorio, che non investe il merito della res in iudicio deducta e non è, quindi, idoneo a passare in cosa giudicata, ovvero di un tipico provvedimento ordinatorio o processuale, insuscettibile di passare in giudicato, in quanto si limita a decidere questioni che riguardano solo l'andamento del processo e la scansione degli atti processuali » (Cass. II, n. 22599/2014). Pertanto, le doglianze ad esso relative possono farsi valere con l'impugnazione della sentenza, nei limiti delle censure ammesse per ciascuno dei mezzi di impugnazione previsti dalla legge. In presenza di nuove contestazioni, la giurisprudenza ha precisato che, poiché alla contestazione suppletiva che modifichi l'imputazione originaria consegue un ampliamento del thema probandum, è necessario che a ciascuna parte sia garantito il pieno esercizio del diritto alla prova rispetto ai nuovi fatti emersi nel processo; ne consegue che, se il pubblico ministero procede, sulla base delle dichiarazioni testimoniali della persona offesa, a contestare all'imputato un reato concorrente ai sensi dell'art. 517, tali dichiarazioni possono essere legittimamente utilizzate dal giudice per la decisione qualora il difensore si sia limitato a prendere atto della contestazione suppletiva, senza chiedere, ai sensi dell'art. 519, commi 2 e 3, di effettuare un controesame della persona offesa specificamente relativo all'oggetto della suddetta contestazione (Cass. III, n. 47666/2014). La dottrina ha a sua volta osservato che il giudice può anche ammettere nel corso del dibattimento prove in origine escluse, nel caso in cui gli sviluppi, ab origine imprevedibili, dell'istruzione dibattimentale, ne abbiano successivamente evidenziato la liceità, ovvero la rilevanza e/o non superfluità (BELTRANI, 282). L’acquisizione di verbali di prove di altri procedimentiAi sensi dell'ultima parte del comma 1 dell'art. 495, quando è stata ammessa l'acquisizione di verbali di prove di altri procedimenti, la richiesta di nuova assunzione della medesima prova nel procedimento in corso è valutata dal giudice soltanto dopo la materiale acquisizione della documentazione relativa alla prova dell'altro procedimento. La giurisprudenza ha ritenuto legittima l'acquisizione, nel processo minorile, dei verbali di prove di altro procedimento penale, assunte nell'incidente probatorio o nel dibattimento cui abbia partecipato il difensore, svoltosi a carico dell'imputato medesimo per fatti commessi dopo il raggiungimento della maggiore età (Cass. III, n. 21627/2010, con la precisazione che non è ostativo all'acquisizione il cosiddetto divieto di connessione di cui all'art. 14). Il diritto di prova contrariaL'imputato ha diritto all'ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico (art. 495, comma 2); lo stesso diritto spetta al p.m. in ordine alle prove a carico dell'imputato sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico. Attraverso tale disciplina, sono state recepite le disposizioni di cui all'art. 6, § 3, lett. d, CEDU (fonte richiamata dall'art. 2, comma 1, l. n. 81/1987, delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale), per il quale ogni accusato ha diritto di ottenere la citazione e l'interrogatorio dei testimoni a discarico a pari condizioni di quelli a carico, successivamente confluite nell'art. 111, comma 3, Cost. Secondo la dottrina, l'esercizio del diritto di prova contraria non va, peraltro, « confinato alla fase degli atti introduttivi del dibattimento, perché i presupposti di fatto possono realizzarsi anche successivamente, nel corso dell'istruzione dibattimentale: in particolare, in seguito all'indicazione di nuovi temi di prova e all'ammissione di nuove prove d'ufficio ai sensi degli artt. 506, comma 2, e art. 507 » (ILLUMINATI, 74). La giurisprudenza ha precisato che la parte la quale abbia omesso di depositare la lista dei testimoni nel termine di legge, conserva comunque la facoltà di chiedere la citazione a prova contraria dei testimoni, periti e consulenti tecnici, posto che il termine perentorio per il deposito della lista dei testimoni è stabilito, a pena di inammissibilità, dall'art. 468, comma 1, soltanto per la prova diretta e non anche per quella contraria, e che l'opposta soluzione vanificherebbe il diritto alla controprova, il quale costituisce espressione fondamentale del diritto di difesa (Cass. V, n. 2815/2013). In ogni caso, il diritto all'ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico, non è esercitabile liberamente, ma incontra limiti ben precisi nelle prescrizioni degli artt. 188, 189, 190 e 191 c.p.p.: esso deve armonizzarsi con il potere-dovere del giudice del dibattimento di valutare la liceità e la rilevanza della prova richiesta onde escludere quelle vietate dalla legge ovvero manifestamente superflue od irrilevanti, e può, pertanto, essere denegato dal giudice, sulla base di adeguata motivazione, proprio e soltanto quando le prove richieste risultino manifestamente superflue od irrilevanti; fuori da questi casi, la sua violazione comporta la nullità della sentenza (Cass. V, n. 8842/1993 e Cass. VI, n. 44736/2003). Inoltre, la parte che faccia richiesta di prova contraria deve specificare i fatti oggetto delle prove a carico che intende contrastare, nonché il nominativo dei testi addotti e le circostanze su cui deve vertere il loro esame, non essendo sufficiente un riferimento generico alle prove a discarico indicate nella lista depositata (Cass. V, n. 55829/2018: in applicazione del principio, la S.C. ha confermato la decisione di rigetto della richiesta di ammissione di prova contraria avanzata dalla difesa senza l'indicazione del nominativo e della qualità dei testimoni di cui si chiedeva l'ammissione e senza la specificazione dei capitoli della prova dedotta dal pubblico ministero sui quali veniva richiesto il loro esame). I limiti Anche la c.d. "prova contraria" deve , al pari di quella diretta, avere ad oggetto fatti rilevanti ai fini dell'imputazione e non può tradursi in un diritto ad ottenere l'ammissione di una prova manifestatamente superflua o vertente su fatti estranei a quelli contestati (Cass. II, n. 31883/2016: fattispecie in tema di usura, in cui la difesa aveva chiesto l'ammissione, a prova contraria, del funzionario responsabile dell'accesso al "Fondo di solidarietà per le vittime dell'usura"; in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto legittima l'ordinanza di rigetto della richiesta di prova testimoniale, in quanto l'accesso al predetto fondo costituiva circostanza non controversa, oltre che successiva ai fatti). Inoltre, il diritto alla prova contraria non può avere ad oggetto: a ) l'espletamento di una perizia, mezzo di prova per sua natura neutro e, come tale, non classificabile né « a carico » né « a discarico » dell'accusato, oltreché sottratto al potere dispositivo delle parti e rimesso essenzialmente al potere discrezionale del giudice, la cui valutazione, se assistita da adeguata motivazione, è anche insindacabile in sede di legittimità (Cass. I, n. 9788/1994 e Cass. V, n. 14130/2007); b ) l'ispezione dei luoghi, che non è una prova, bensì un mezzo di ricerca della prova ed, in quanto tale, sfugge alla disciplina dettata dall'art. 495, comma 2, poiché non è consentito ricomprendere nel termine « prova » — intesa come fonte di convincimento — il « mezzo » attraverso il quale la prova stessa viene ricercata per essere poi offerta al giudice ai fini della decisione: il ruolo che il nuovo codice di rito assegna al giudice, gli impedisce di svolgere, di regola, attività di ricerca della prova, essendo ciò demandato alle parti (Cass. VI, n. 6861/1993; ad uguali conclusioni, in relazione al sopralluogo, pervengono Cass. V, n. 1582/1998 e Cass. I, n. 8868/2000). Questioni di costituzionalità La giurisprudenza costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 495, comma 2, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non consente alla parte civile il diritto all'ammissione di prove a carico dell'imputato sui fatti oggetto della prova a discarico. Si è, al riguardo, evidenziato che l'intervento, nel processo penale, della parte civile trova giustificazione — oltre che nella necessità di tutelare un legittimo interesse della persona offesa dal reato — nell'unicità del fatto storico, valutabile sotto il duplice profilo dell'illiceità penale e dell'illiceità civile, realizzandosi, così, non solo un'esigenza di economia dei giudizi, ma anche evitandosi un possibile contrasto di pronunce, e che, tuttavia, l'azione per il risarcimento o le restituzioni ben può avere ab initio una propria autonomia nella naturale sede del giudizio civile, nel quale non sussistono quei condizionamenti che, al contrario, la legge impone nel caso in cui si sia preferito esercitare l'azione civile nell'ambito del procedimento penale; proprio nella non equiparabilità tra parti principali — e necessarie — del processo penale e parte civile, la cui presenza è solo eventuale, nonché tra gli interessi di cui ciascuna è rispettivamente portatrice, trova giustificazione il diverso trattamento in ordine all'ammissione delle prove ex art. 495, comma 2. Si è, inoltre, osservato che l'art. 495, comma 2, pur qualificando come diritto l'ammissione delle prove per le parti principali, non preclude affatto alla parte civile la facoltà di presentare anch'essa le proprie richieste: non sussiste, pertanto, alcuna lesione del suo diritto di difesa, garantito in generale dall'art. 190 — che pone un principio di carattere generale il cui valore si proietta in tutte le fasi processuali — e dall'art. 468, comma 4, che prevede espressamente la possibilità per « ciascuna parte » di presentare in dibattimento testimoni, periti o consulenti tecnici in controprova, senza che a ciò corrisponda un dovere del giudice di ammetterla. Detta posizione è del tutto uguale a quella dell'imputato, il quale — si è detto — non avrebbe a sua volta diritto alla controprova sui fatti oggetto delle prove in ordine alla responsabilità civile, introdotte dalla parte civile (Corte cost., n. 532/1995). L’esame dei documenti dei quali è chiesta l’ammissioneL'art. 495, comma 3, assicura alle parti la facoltà di esaminare i documenti, dei quali venga chiesta l'ammissione, prima della decisione del giudice. Questioni di costituzionalità La giurisprudenza costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24, comma 2, Cost., degli artt. 468, comma 1, e art. 495, comma 3, osservando che, « come già ritenuto dalla Corte per l'ipotesi di ammissione di prove richieste per la prima volta nel dibattimento, anche nel caso di richiesta, ai sensi dell'art. 495, comma 3, di ammissione di prove documentali dalle parti private dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento — diversamente dalla disciplina delle altre prove che devono essere richieste, a pena di inammissibilità, almeno sette giorni prima del dibattimento, ai sensi dell'art. 468, c.p.p. comma 1 —, l'eventuale difficoltà, per le altre parti, di esaminare tali prove documentali può essere agevolmente superata dalla concessione di un termine da parte del giudice, potendosi ravvisare senz'altro una di quelle “ragioni di assoluta necessità” idonee a giustificare la sospensione del dibattimento ai sensi dell'art. 477, comma 2. Oltre che per le peculiari caratteristiche della prova testimoniale, che giustificano una diversa disciplina, al riguardo, rispetto alla prova documentale, una volta garantito per tutte le parti il diritto alla controprova, è inconsistente il rilievo circa la disparità di trattamento che deriverebbe dal fatto che, mentre le parti private conoscono il contenuto del fascicolo del p.m., questi non può conoscere la documentazione in possesso delle parti private, anche perché la preventiva conoscenza da parte dell'imputato del contenuto del fascicolo del p.m., lungi dal costituire un privilegio, rappresenta una elementare garanzia dell'esercizio del diritto di difesa » (Corte cost.,n. 284/1994). Si è precisato che la diversa disciplina in ordine ai termini di ammissibilità della richiesta di prova documentale, possibile anche dopo l'apertura del dibattimento, rispetto a quella relativa alla prova testimoniale, che invece deve richiedersi almeno sette giorni prima del dibattimento, è giustificata dalle peculiari caratteristiche della prova testimoniale, dovendosi, in quest'ultima, indicare non solo i nomi dei testi, ma anche le circostanze di fatto prospettate, di modo che la controparte, per difendersi adeguatamente, sia posta in grado di reperire e chiedere la citazione a prova contraria di altri testi. La stessa decisione ha evidenziato, infine, che « spetta all'imputato valutare la convenienza per un rito alternativo o per il dibattimento, onde egli non ha che da addebitare a se medesimo la conseguenza della propria scelta, ed è in tale valutazione che egli dovrà considerare l'eventualità che in dibattimento possano emergere fisiologicamente nuove contestazioni ovvero nuove prove. Pertanto la previsione di cui all'art. 495, comma 3, che consente la richiesta di ammissione di prove documentali dalle parti private dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, non viola l'art. 24, comma 2, Cost., sotto il profilo della impossibilità per l'imputato di scegliere un rito alternativo (ad esempio, il patteggiamento) ove, di fronte a un documento a sorpresa, debba ravvisarne la convenienza ». Il problema si pone, attualmente, per il rito monocratico, il solo nell'ambito del quale sia consentito l'accesso ex novo ai riti alternativi. Le decisioni sulle questioni sorte nel corso del dibattimento e la revoca delle prove ammesseAnche dopo l'ordinanza ammissiva (o non ammissiva), il giudice, nel corso dell'istruzione dibattimentale, decide, ai sensi dell'art. 495, comma 4, con ordinanza, sulle eccezioni (nuove) proposte dalle parti in ordine all'ammissibilità delle prove; inoltre, sentite le parti, può revocare (sempre con ordinanza) l'ammissione di prove che siano divenute superflue, od ammettere prove già escluse. Il potere giudiziale di revoca, per superfluità, delle prove già ammesse è, anzi, nel corso del dibattimento, più ampio di quello esercitabile all'inizio del dibattimento stesso, momento in cui il giudice può non ammettere soltanto le prove vietate dalla legge o quelle manifestamente superflue od irrilevanti. La giurisprudenza precisa, in proposito, che il giudice può revocare una prova testimoniale già ammessa non solo quando essa, rispetto al materiale probatorio già assunto nel contraddittorio tra le parti, non appaia più decisiva ma anche quando non sia più utile, perché incompatibile con il principio di ragionevole durata del processo (Cass. V, n. 8422/2020: fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto corretta la revoca dell'ammissione di un teste che, per l'intera durata del processo, aveva tenuto una condotta sintomatica della volontà di sottrarsi all'esame dibattimentale, non ottemperando alle citazioni ed impedendo l'esecuzione del provvedimento di accompagnamento coattivo ed infine, nell'ultima udienza, dando assicurazione telefonica di una generica disponibilità a comparire in una prossima udienza, elemento che, alla luce del suo pregresso comportamento, era apparso un modo per procrastinare la definizione del processo). Ai fini dell'esercizio del potere di revoca, è sufficiente che il giudice chieda alle parti di interloquire sull'andamento e lo sviluppo dell'istruttoria dibattimentale, senza che egli debba specificare quale tipo di provvedimento intenda assumere (Cass. VI, n. 12589/2004). L'orientamento dominante ritiene che la revoca dell'ordinanza ammissiva di testi della difesa, resa in difetto di motivazione sulla superfluità della prova, produce una nullità di ordine generalea regime intermedio, integrando una violazione del diritto della parte di “difendersi provando”, stabilito dal comma 2 dell'art. 495, corrispondente al principio della “parità delle armi” sancito dall'art. 6, § 3, lett. d), Conv. EDU, al quale si richiama l'art. 111, comma 2, Cost. in tema di contraddittorio tra le parti (Cass. V, n. 16976/2020), che deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell'art. 182, comma 2, con la conseguenza che, in caso contrario, essa è sanata (Cass. II, n. 9761/2015: fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto tempestivamente dedotta la doglianza eccepita dal difensore in udienza per l'esame dei propri testi e reiterata con i motivi d'appello sollecitando la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale; conforme, Cass. VI, n. 53823/2017). Altro orientamento, senz'altro minoritario, ritiene che nel caso esaminato sia configurabile unicamente una nullità relativa (Cass. V, n. 2511/2017). Si ritiene che la revoca può essere anche tacita o implicita: il giudice che, senza aver assunto le testimonianze a discarico ammesse, invita le parti alla discussione, esercita implicitamente il potere di revoca dell'ammissione della prova (in quanto l'invito a formulare le conclusioni costituisce una modalità scelta del giudice per provocare il contraddittorio in ordine allo sviluppo dell'istruttoria dibattimentale) e non ha un obbligo di motivazione esplicita in sentenza dei motivi della revoca se, dal contesto delle argomentazioni, è possibile evincere che le ragioni del convincimento prescindono dalle prove ammesse e non assunte (Cass. V, n. 9687/2015). Nell'ambito di questo orientamento, si è ritenuto che non sussiste la violazione del dovere di sentire le parti, qualora il giudice ritenga non più necessario acquisire la prova ammessa e non ancora espletata, e le parti, invitate a rassegnare le conclusioni, nulla eccepiscano in ordine alla completezza dell'istruttoria, in quanto tale invito non è altro che una modalità scelta dal giudice per sentire le parti in ordine all'andamento ed allo sviluppo dell'istruttoria dibattimentale (Cass. V, n. 35986/2008); si è anche precisato che il diritto dell'imputato all'ammissione delle prove a discarico, di cui all'art. 495, comma 2, va coordinato con il potere attribuito al giudice dal comma 4 del medesimo articolo di revocare l'ammissione di prove che risultino superflue: pertanto, è legittima l'ordinanza del giudice che, dopo aver acquisito con il consenso delle parti le dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari dai soggetti indicati quali testi a discarico dall'imputato, revochi l'ordinanza ammissiva degli stessi senza che venga sollevata eccezione alcuna né, comunque, prima della chiusura dell'istruttoria dibattimentale (Cass. III, n. 28353/2013). Il problema (ed il contrasto) esiste anche con più specifico riferimento alla dichiarazione di chiusura dell'istruzione dibattimentale: - un orientamento ritiene che, qualora il giudice dichiari chiusa la fase istruttoria senza che sia stata assunta una prova in precedenza ammessa e le parti, corrispondendo al suo invito, procedano alla discussione senza nulla rilevare in ordine alla incompletezza dell'istruzione, la prova in questione deve ritenersi implicitamente revocata con l'acquiescenza delle parti medesime (Cass. V, n. 7108/2016); - altro orientamento ritiene che la dichiarazione di chiusura dell'istruttoria dibattimentale, ove la parte vi assiste e non abbia eccepito il mancato esame di un testimone, comporta la revoca implicita dell'ammissione di tale deposizione ed eventuali nullità concernenti la suddetta deliberazione di esaurimento delle prove dovranno essere eccepite, a pena di decadenza, in sede di formulazione e precisazione delle conclusioni (Cass. III, n. 29649/2018). Anche in mancanza di una rinuncia del p.m. all'espletamento dell'esame dell'imputato, ritualmente ammesso e fissato, è legittima la revoca dell'ordinanza di ammissione, allorché l'imputato stesso non sia comparso all'udienza stabilita per l'incombente, adducendo un impedimento ritenuto non legittimo dal giudice (Cass. VI, n. 14914/2009). La rinunzia alle prove ammesseIl comma 4-bis dell'art. 495, aggiunto dall'art. 17 l. n. 397/2000, consente alle parti che abbiano ottenuto l'ammissione di una prova, di rinunziare alla stessa, purché le altre parti acconsentano alla rinuncia: resta, peraltro, salva la facoltà del giudice di procedere d'ufficio, ex art. 507, all'assunzione della prova, nonostante la concorde rinunzia delle parti. In giurisprudenza:, un orientamento ritiene che, quando una parte rinuncia all'esame di un proprio testimone, le altre parti hanno diritto a procedervi solo se questo era inserito nella loro lista testimoniale, valendo altrimenti la loro richiesta come mera sollecitazione all'esercizio dei poteri officiosi del giudice ex art. 507 (Cass. I, n. 13338/2015 e Cass. V, n. 39767/2017): entrambe le decisioni appena citate non considerano, peraltro, la sopravvenuta modifica normativa, richiamando precedendo giurisprudenziali riguardanti processi celebrati in primo grado prima del 2000. Va, al contrario, attualmente condiviso l'orientamento per il quale l'opposizione della controparte rende la rinuncia inefficace, con la conseguenza che l'onere di provvedere alla citazione permane a carico di chi aveva originariamente richiesto l'ammissione del testimone (Cass. VI, n. 26541/2015). Si è successivamente osservato che, nel caso in cui alla rinuncia di un testimone segua l'opposizione della parte non rinunciante, il giudice è tenuto a valutare la perdurante necessità della audizione del teste già ammesso, tenuto conto dell'efficacia dimostrativa delle prove già assunte, sicché l'eventuale revoca deve essere disposta con ordinanza motivata ai sensi dell'art. 495, comma 4, (Cass. II, n. 28915/2020). In dottrina, si è ritenuto necessario che, pur in presenza della concorde rinunzia delle parti, il giudice, in contraddittorio, revochi formalmente la precedente ordinanza ammissiva della prova (Grilli, 251 ss.). Le conseguenze della mancata citazione del teste per l’udienzaNell'ambito della giurisprudenza di merito è molto diffuso un orientamento a parere del quale la parte che — pur avendo ottenuto l'autorizzazione alla citazione e l'ammissione della chiesta prova testimoniale — non abbia citato i testimoni ecc. indicati in lista (ovvero, non abbia citato i testimoni ecc. ammessi ex art. 495), decade dalla prova; le applicazioni note riguardano generalmente casi di inerzia dell'imputato). La giurisprudenza di legittimità è, sul punto, estremamente divisa: a) un orientamento afferma che, qualora, a seguito del decreto di autorizzazione ex art. 468, comma 2, la parte non provveda alla citazione del testimone, il giudice non può, per ciò solo, revocare la prova ammessa, a meno che non si tratti di prova superflua, che sarebbe peraltro revocabile ex art. 495, comma 4, e non per la mancata citazione del teste in sé; pertanto, l'omessa citazione del teste non ha alcuna incidenza in relazione alla valutazione sull'ammissione della prova, mentre l'eventuale irrilevanza di essa deve essere motivata e va, comunque, deliberata non de plano, ma previa instaurazione del contraddittorio, sussistendo l'obbligo, normativamente imposto, di sentire le parti prima dell'adozione del provvedimento di revoca (Cass. V, n. 30889/2005 e Cass. V, n. 41340/2006, con la precisazione che, a seguito del decreto di autorizzazione adottato ex art. 468, comma 2, la parte ha una mera facoltà di provvedere alla citazione dei testi — e non un onere processuale dal cui inadempimento derivi la sanzione automatica della decadenza — e qualora non vi provveda, il giudice non può revocare la prova ammessa — a meno che questa non risulti superflua, ex art. 495, comma 4, — ma deve autorizzare nuovamente la citazione dei testi per un'udienza successiva; nel medesimo senso, con riguardo al procedimento dinanzi al giudice di pace, Cass. V, n. 38669/2005). L'orientamento è stato anche successivamente ribadito, affermando che il provvedimento con il quale il collegio (od il giudice monocratico), rilevata l'assenza dei testimoni della difesa, ne abbia revocato l'ammissione in assenza di contraddittorio con le parti e senza giustificare la superfluità della prova (asserendo essere maturata una decadenza) sarebbe illegittimo, « in quanto l'omessa citazione del testimone non vincola la decisione sull'ammissibilità della prova, la quale segue alla valutazione di pertinenza e rilevanza della stessa e non determina automaticamente la decadenza dall'assunzione » (Cass. III, n. 13507/2010, e Cass. V, n. 29562/2014); nel medesimo senso, da ultimo, Cass. VI, n. 28951/2020 ha ribadito che l'intempestiva citazione dei testimoni già ammessi dal giudice non comporta la decadenza della parte dalla prova, in quanto nessuna norma processuale prevede un termine per la citazione dei testimoni, né contempla l'intempestività di tale citazione quale causa di decadenza dalla prova orale; b) un orientamento ritiene che « la parte, dopo avere depositato la lista ed ottenuto dal giudice l'autorizzazione a citare i propri testimoni, per provocare la loro presenza in dibattimento, ha l'onere di curare gli adempimenti necessari per la presentazione, rivolgendosi all'ufficiale giudiziario a norma dell'art. 142 disp. att. c.p.p., ovvero provvedendo personalmente alla presentazione dei testimoni in udienza secondo il disposto dell'art. 468, comma 3. L'omissione di tali adempimenti, pur non equivalendo a rinuncia alla prova e pur non comportando l'inammissibilità dalla prova stessa perché questa è prevista solo per il mancato deposito della lista, impedisce, tuttavia, alla parte di chiedere il rinvio del dibattimento per l'escussione dei propri testi. Opinando diversamente, si attribuirebbe alla parte la facoltà di determinare i tempi del processo che devono, invece, essere regolati dal giudice. La parte negligente riacquisterà il diritto di fare escutere i propri testimoni solo nell'eventualità che l'istruzione probatoria venga rinviata dal giudice ad altra udienza », non anche quando il dibattimento si esaurisca in una sola udienza (Cass. III, n. 32342/2007 e Cass. III, n. 13507/2010): si ammette, quindi, implicitamente, la decadenza, ma nei soli casi in cui gli unici testi da assumere prima della decisione siano quelli non citati; l'orientamento è stato più recentemente ribadito da Cass. IV, n. 48303/2017, e Cass. II, n. 21788/2019, per la quale la mancata citazione del teste per l'udienza non comporta la decadenza della parte richiedente dalla prova, salvo che quest'ultima sia superflua o la nuova autorizzazione alla citazione per un'udienza successiva comporti il ritardo della decisione; in applicazione del principio, la seconda delle decisioni citate ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso volto a denunciare l'inutilizzabilità della prova dichiarativa assunta a seguito del rinvio concesso dal giudice dopo la mancata citazione dei testi da parte del pubblico ministero; nel medesimo senso si è pronunciata, da ultimo, Cass. VI, n. 33163/2020; c) un orientamento ritiene che la mancata citazione del teste per l'udienza possa essere valutata dal giudice come comportamento significativo della volontà della parte richiedente di rinunciare alla prova già ammessa (Cass. III, n. 2103/2009; Cass. III, n. 20267/2014, che ha ritenuto legittima la revoca dell'ordinanza ammissiva della prova per la ripetuta assenza, nell'ultima occasione non giustificata da legittimo impedimento, di un teste a discarico; Cass. III, n. 20851/2015, che ha ritenuto legittima la revoca dell'ordinanza ammissiva della prova per la ripetuta assenza del teste a discarico, che il difensore non aveva mai documentato essere stato raggiunto dalla raccomandata inviatagli). L'orientamento non considera, peraltro, che questa presunzione dovrebbe necessariamente cedere in presenza dell'esplicitazione, in udienza, di una volontà contraria. Nell'ambito dell'orientamento, si è, con maggior fondamento, considerato che l'esigenza di ragionevole durata del processo — elevata a livello di parametro costituzionale (art. 111, comma 2, Cost.) — induce a ritenere che la mancata citazione del teste possa essere valutata dal giudice come comportamento significativo della volontà della parte di rinunciare alla prova già ammessa: pertanto, anche se non c'è una vera e propria decadenza dalla prova, la parte rimasta inerte non potrebbe, successivamente, lamentarsi della mancata escussione, ritenuta non più necessaria dal giudice (Cass. III, n. 526/1993; Cass. VI, n. 6025/1999, per la quale, in tal caso, sussisterebbe una preclusione a richiedere la medesima prova in sede di impugnazione; Cass. IV, n. 9335/1999, per la quale la parte interessata che non provveda alla citazione del proprio teste e non si adoperi per ottenerne la presenza in dibattimento, non può, successivamente, lamentarsi della mancata escussione, « avendo sottratto, per causa a lui imputabile, la fonte di prova al giudizio di ammissibilità previsto dall'art. 495 »); d) un orientamento ritiene che l'omessa citazione dei testi già autorizzati e/o ammessi dal giudice, per l'udienza fissata per la loro escussione, comporta la decadenza della parte dalla prova, e che, pertanto, è legittimo il provvedimento di revoca dell'ammissione dei testi non citati (Cass. VI, n. 2324/2015; Cass. V n. 20502/2019): il termine stabilito dal giudice del dibattimento per la citazione dei testimoni (nonché di periti e consulenti tecnici e dei soggetti indicati dall'art. 210) sarebbe, infatti, inserito in una sequenza procedimentale che non ammette ritardi o rinvii dovuti alla mera negligenza delle parti (se non, in via del tutto eccezionale, per caso fortuito o forza maggiore), ed ha, pertanto, natura perentoria; ne consegue che la parte, ove non effettui la citazione dei testimoni dei quali intende chiedere l'ammissione entro il predetto termine, decade dal diritto di assumerne la testimonianza (Cass. II, n. 14439/2013); è, peraltro, necessario che il provvedimento di autorizzazione alla citazione sia depositato in tempo utile per consentire alla parte instante di attivarsi proficuamente, e che esso contenga la specifica indicazione dell'udienza per la quale i testi dovranno essere citati: « in mancanza di una simile prescrizione, non p[uò] dirsi essersi integrata alcuna decadenza dalla facoltà della parte di testi autorizzati, non essendovi una norma che ciò preveda » (Cass. VI, n. 24254/2009, in fattispecie nella quale il decreto di autorizzazione alla citazione non recava l'indicazione dell'udienza per la quale i testi avrebbero dovuto essere citati, ed era stato depositato in cancelleria appena quattro giorni prima dell'udienza iniziale); l'orientamento appare prevalente nella giurisprudenza più recente (Cass. IV, n. 22585/2017 e Cass. VI, n. 594/2018). L'orientamento è stato, da ultimo, ribadito da Cass. VI, n. 46470/ 2019, Cass. IV, n. 31541/2020 e Cass. V, n. 17351/2020, per il rilievo che il termine per la citazione dei testimoni sarebbe inserito in una sequenza procedimentale che non ammetterebbe ritardi o rinvii dovuti alla mera negligenza delle parti, ed avrebbe, pertanto, natura perentoria , ed appare allo stato dominante . Analoghi contrasti dividono la dottrina: a) un orientamento (Mannucci, 2404 s.), che si caratterizza per l'assoluta fedeltà al dato testuale, ha evidenziato che l'art. 29, comma 8, pt. ult., d.lgs. n. 274/2000, recante disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, prevede espressamente che « la parte che omette la citazione decade dalla prova », concludendo che « a questo punto il problema ermeneutico si può adesso risolvere con la chiave esegetica offerta dal brocardo latino ubi lex voluit dixit »; b) altro orientamento, premesso che l'introduzione delle prove in dibattimento costituisce l'esito di una fattispecie complessa a formazione progressiva (i cui segmenti fondamentali sono costituiti dal tempestivo deposito della lista recante l'indicazione dei soggetti che si chiede di esaminare e delle circostanze sulle quali gli esami devono vertere, dall'eventuale autorizzazione alla citazione dei predetti soggetti e dall'iniziativa della parte instante, nel citare i soggetti che si intende esaminare, se ne è stata autorizzata, ovvero nel presentarli direttamente in udienza, ex artt. 468, commi 2 e 3), che deve perfezionarsi entro la data di udienza, costituente termine finale, fissato a pena di un'implicita decadenza, ha ritenuto che l'omessa citazione o presentazione del soggetto del quale si intenda chiedere l'esame entro il fissato dies ad quem inciderebbe sui segmenti precedenti della fattispecie, risalendo fino all'iniziale deposito della lista (che, pur se inizialmente tempestivo, perderebbe medio tempore la sua idoneità a produrre il proprio effetto), e rendendo inammissibile la richiesta di esame. L'assunto troverebbe conferma nella finalità acceleratoria perseguita dal meccanismo di cui all'art. 468 e nell'esigenza di effettività del principio di concentrazione del dibattimento (Vicoli, 630 s.), ma in tema potrebbe anche essere invocato il principio della durata ragionevole del processo (art. 111, comma 2, ultima parte, Cost.). La tesi della configurabilità di un termine di decadenza implicito non è apparsa, peraltro, convincente (Adorno, Omessa citazione, 175 ss.). Invero, può condividersi che « non ricollegare al comportamento inerte e ingiustificato della parte la volontà di rinunciare alla prova, significa legittimare comportamenti pretestuosi, del tutto violativi di ogni onere di leale collaborazione, strumentali ad un uso non funzionale, e quindi abusivo, dei poteri riconosciuti alle parti, e, in sostanza, rimettere all'arbitrio della parte il potere di determinare i tempi del processo » (Silvestri, Omessa citazione, 4686 ss.; nel medesimo senso, sostanzialmente, Adorno, Omessa citazione, 175 ss.). A conclusioni diverse dovrebbe giungersi nei casi in cui la parte abbia fornito per l'omessa citazione (o presentazione) una giustificazione plausibile. La questione non appare, in realtà, di estremo rilievo: proprio la pacifica doverosità dell'intervento officioso suppletivo ex art. 507 (al quale, in proposito, si rinvia), pur in presenza dell'assoluta inerzia delle parti (la questione è stata trattata generalmente dalla giurisprudenza in relazione a casi nei quali il pubblico ministero non aveva ritualmente presentato la propria lista, ma le conclusioni cui si è giunti valgono, naturalmente, anche in caso di assoluta inerzia delle parti private), evidenzia che il collegio (o il giudice), in presenza dell'ingiustificatamente omessa citazione (o presentazione in udienza) di soggetti indicati in lista e ritualmente ammessi a testimoniare, pur ritenuta la decadenza o, meglio, l'intervenuta rinunzia tacita della parte instante ai relativi esami, dovrà necessariamente riammettere d'ufficio gli esami assolutamente necessari ai fini dell'accertamento della verità (per quelli superflui, nulla quaestio), di tal che l'unica seria conseguenza dell'inerzia della parte (decaduta o, meglio, rinunziante) sembra essere l'impossibilità di dolersi in sede di gravame dell'omessa assunzione degli esami dei soggetti dalla stessa ingiustificatamente non citati (o non presentati). Per le conseguenze della risoluzione della questione sulla rinnovazione del dibattimento in appello, si rinvia sub art. 603. Le prove « nuove »Si discute circa l'ammissibilità o meno, dopo il termine di cui all'art. 495, di prove « nuove », cioè venute ad esistenza dopo la scadenza di detto termine, ovvero preesistenti, ma conosciute dalla parte interessata successivamente. Al riguardo, è opportuno premettere che il fondamento dell'ammissibilità delle prove « nuove » non può essere rinvenuto nell'art. 493, comma 2, che opera soltanto in un momento che precede l'inizio dell'istruzione dibattimentale, e con limitato riguardo alle prove contemplate dall'art. 468. Peraltro, le preclusioni probatorie non hanno ragione d'essere quando nessun rimprovero di negligenza o, peggio, di scorrettezza processuale può essere mosso alla parte (POTETTI, Vicende, 1402): ne consegue che in tutti i casi di « sopravvenienze », quando non è possibile muovere alcun rimprovero alla parte per essersi tardivamente attivata nel formulare la richiesta probatoria, nessun ostacolo può limitare il relativo diritto alla prova, che deve, quindi, ritenersi sancito dall'art. 190, comma 1, anche oltre le preclusioni processuali previste dagli artt. 468 e ART. 493; d'altro canto, rispetto ad esse opera anche la concorrente e superiore esigenza della ricerca della verità, che, come più volte ribadito dalla giurisprudenza costituzionale, impronta di sé l'intero processo penale (Cass. VI, n. 10762/1994, in tema di intercettazioni telefoniche). In dottrina, si è osservato che l'art. 495, comma 4, prima parte, nel prevedere che il giudice decide con ordinanza sulle eccezioni proposte dalle parti in ordine all'ammissibilità delle prove, non può che far riferimento alla richiesta di ammissione di « prove nuove », essendo già esaurite le questioni inerenti alle prove tempestivamente richieste, sulle quali il giudice può ritornare nei modi previsti dall'art. 495, comma 4, seconda parte; si è, infine, ritenuto irragionevole consentire l'ammissione di nuove prove in appello (v. art. 603) e negarla nel corso dell'istruzione dibattimentale, sicché, anche dopo la chiusura della fase degli atti introduttivi del dibattimento, esaurita, ai sensi dell'art. 495, con il provvedimento di ammissione delle prove articolate dalle parti, il giudice può ammettere « prove nuove » (BELTRANI, 283). Tra le « prove nuove » ammissibili nel corso dell'istruzione dibattimentale, rientrano anche quelle acquisite a seguito di attività integrativa d'indagine successiva all'emissione del decreto che dispone il giudizio: l'art. 430 non pone limiti temporali allo svolgimento di tale attività, e la precisazione « ai fini delle proprie richieste al giudice del dibattimento » non può interpretarsi nel senso restrittivo che le richieste sono soltanto quelle da effettuarsi ai sensi degli artt. 493-495, comma 1, subito dopo l'apertura del dibattimento e non, quindi, a dibattimento inoltrato; anche in tal caso, la prova si forma sempre nel dibattimento (Cass. I, n. 9958/1997). Ai sensi del nuovo art. 430-bis è vietato al p.m., alla polizia giudiziaria e al difensore assumere informazioni dalla persona ammessa ai sensi dell'art. 507, ovvero indicata nella richiesta di incidente probatorio o ai sensi dell'art. 422, comma 2, o nella lista prevista dall'art. 468 e presentata dalle altre parti processuali: le informazioni assunte in violazione del divieto sono inutilizzabili. Il divieto cessa con l'assunzione della testimonianza e nei casi in cui questa non sia ammessa o non abbia luogo. I vizi deducibili in sede di gravameIl motivo di ricorso per cassazione consistente nella deduzione della mancata assunzione di una prova decisiva può essere proposto solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l'assunzione a norma dell'art. 495, comma 2, ma non in relazione a quello di cui sia stata sollecitata l'ammissione ai sensi dell'art. 507 c.p.p., né, tanto meno, con riferimento ad attività di indagine che — ad avviso del ricorrente — il p.m. avrebbe dovuto svolgere, ma che non è stata espletata (Cass. II, n. 41744/2015); la previsione del motivo della mancata assunzione di prove decisive, quando la parte ne abbia fatto richiesta « anche nel corso dell'istruzione dibattimentale », opera quindi unicamente nei casi in cui di dette prove le parti abbiano diritto all'ammissione, come si desume dall'espresso richiamo all'art. 495, comma 2 (Cass. II, n. 19575/2006 e Cass. V, n. 4672/2017). Nel caso in cui non sia stata sollevata alcuna eccezione o contestazione nel corso dell'espletamento di una determinata prova, o anche immediatamente dopo, non sussiste un diritto della parte a chiedere una successiva verifica di quella stessa prova in sede di legittimità, atteso anche il disposto dell'art. 606, comma 1, lett. d, che limita il ricorso per cassazione per mancata assunzione di una prova decisiva al dato che la parte ne abbia fatto richiesta ai sensi del comma 2 dell'art. 495 (Cass. III, n. 18065/2004). Il procedimento probatorio: riepilogoIl procedimento che porta all'ammissione delle prove in dibattimento si articola, quindi, in quattro fasi: a ) la parte ha l'onere di indicare i testimoni, periti, consulenti e soggetti elencati nell'art. 210 che intende esaminare (non anche gli imputati che intende esaminare in ordine alle responsabilità proprie, né i documenti che intende produrre) nella lista depositata ai sensi degli artt. 468, comma 1, e art 555, comma 1… b ) … nonché di formulare le proprie richieste istruttorie (questa volta, senza alcuna esclusione) all'esito dell'indicazione dei fatti che intende provare; c) il giudice provvede all'ammissione delle prove richieste a norma degli artt. 190 e 190-bis; d) resta salva la facoltà delle parti di concordare, ai sensi degli artt. 493, comma 3, e 555, comma 4, c.p.p. l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del p.m. ovvero della documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva. L'ammissione di alcuni mezzi di prova può essere richiesta soltanto a istruzione dibattimentale iniziata; si pensi: a ) al confronto; b ) alla testimonianza de relato ex art. 195; c ) a qualsiasi altra prova la cui ammissibilità e/o rilevanza sia sopravvenuta a seguito di precedenti emergenze dibattimentali (ex art. 495, comma 4). L'onere di indicare tempestivamente (ai sensi degli artt. 468 e 493) le prove delle quali si intende ottenere l'ammissione incontra alcune deroghe, con riguardo: a ) alle prove indicate tardivamente per inerzia incolpevole ex art. 493, comma 2; b ) alle prove documentali, per le quali si è visto non essere previsto per la produzione alcun termine finale preclusivo (per i documenti provenienti dall'imputato, non è richiesta neanche l'istanza di parte, potendo, il giudice, ai sensi dell'art. 237, provvedervi d'ufficio); c ) alle « prove nuove », non indicabili prima della loro sopravvenienza; d ) alle prove inerenti a temi nuovi o più ampi indicati dal giudice ex art. 506; e ) ai nuovi mezzi di prova la cui acquisizione si riveli, all'esito dell'istruzione dibattimentale, assolutamente necessaria ai fini della decisione. Casistica
Il procedimento disciplinare a carico di magistrati Con riguardo alla tematica delle prove a discarico nell'ambito del procedimento disciplinare a carico di magistrati, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che il diritto all'ammissione delle prove a discarico sui fatti addebitati, riconosciuto all'incolpato, va contemperato con il potere-dovere del giudice del dibattimento di valutare la rilevanza della prova richiesta ai fini della decisione, la cui negativa valutazione, ove sorretta da adeguata motivazione, è incensurabile in sede di legittimità: in applicazione del principio, è stato ritenuto adeguatamente motivato il mancato accoglimento, da parte della sezione disciplinare del CSM, della richiesta (presentata dalla difesa dell'incolpato) di audizione del procuratore distrettuale, considerata priva di rilievo, in quanto il predetto atto istruttorio mirava unicamente a confermare la presentazione, da parte dell'incolpato, di un'informale istanza di autorizzazione all'astensione e il conseguente diniego opposto dal procuratore, circostanze entrambe ininfluenti sul giudizio disciplinare, in assenza di una formalizzazione mai avvenuta, e comunque inidonee a giustificare l'ulteriore persistenza del comportamento omissivo — contestato all'incolpato — nel corso del successivo svolgimento dell'attività d'indagine (Cass. civ. S.U., n. 3669/2011). Il nuovo comma 4- ter inserito dalla c.d. “riforma Cartabia”: la rinnovazione del dibattimento per mutamento della composizione del giudicePrima della c.d. riforma Cartabia” (d. lgs. n. 150 del 2022), la giurisprudenza (Cass. S.U., n. 41736/2019, la notissima sentenza “Bajrami”) aveva, alfine, chiarito che, in ossequio al principio di immutabilità enunciato dall'art. 525 c.p.p., il giudice che provvede alla deliberazione della sentenza deve essere non soltanto lo stesso che ha assunto la prova, ma anche quello che l'ha ammessa, fermo restando che i provvedimenti sull'ammissione della prova emessi dal giudice diversamente composto conservano efficacia se non espressamente modificati o revocati. Si era precisato che l'intervenuto mutamento della composizione del giudice attribuiva alle parti il diritto di chiedere sia prove nuove sia, indicandone specificamente le ragioni, la rinnovazione di quelle già assunte dal giudice di originaria composizione, fermi restando i poteri di valutazione del giudice di cui agli artt. 190 e 495 c.p.p. anche con riguardo alla non manifesta superfluità della richiesta di rinnovazione delle prove già assunte dinanzi a giudice diversamente composto: peraltro, la facoltà per le parti di richiedere, in caso di mutamento del giudice, la rinnovazione dinanzi al giudice nella nuova composizione degli esami già in precedenza svolti presupponeva la necessaria previa indicazione, da parte delle stesse, dei soggetti da riesaminare nella lista ritualmente depositata di cui all'art. 468 c.p.p. (se del caso, previa richiesta e concessione di un termine per presentarne una nuova, nel caso in cui il mutamento della composizione del giudice e la conseguente rinnovazione del dibattimento fossero divenuti noti “a sorpresa”, ovvero soltanto in udienza). Incidendo su tale diritto vivente, l'art. 30, comma 1, lett. f), d. lgs. n. 150 del 2022 ha introdotto, all'interno dell'art. 495, un nuovo comma 4-ter, che ha inteso disciplinare normativamente la fattispecie. La novella prevede che, se il giudice muta nel corso del dibattimento, la parte “che vi ha interesse” ha diritto di ottenere l'esame delle persone che hanno già reso dichiarazioni nel medesimo dibattimento nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate, a meno che il precedente esame non sia stato documentato integralmente mediante mezzi di riproduzione audiovisiva. Trovano, quindi, conferma (Natale 2022, 217): – la necessità che alla conclusiva deliberazione provveda il giudice (nella medesima composizione) che ha ammesso ed assunto le prove in dibattimento; – la validità ed utilizzabilità ai fini della decisione delle prove assunte dinanzi al giudice diversamente composto (la novella riguarda solo la necessità o meno della loro rinnovazione); – la necessità, ai fini della rinnovazione, di una richiesta di parte (salvo i casi in cui, come immediatamente si vedrà, essa sia disposta di ufficio), in difetto della quale, pertanto, nessuna doglianza sarà consentita in sede d'impugnazione. La rinnovazione dell'esame può essere disposta anche di ufficio, quando il giudice la ritenga necessaria sulla base di “specifiche esigenze”: tale disposizione riprende quanto già espressamente previsto dalla sentenza Bajrami (f. 16 ss. della motivazione), ancorando la rinnovazione d'ufficio a presupposti (il ricorrere di “specifiche esigenze”, ben rinvenibili anche nell'esercizio dei poteri di cui all'art. 506 c.p.p., come peraltro già considerato dalla sentenza Bajrami) meno stringenti rispetto a quelli previsti dall'art. 507 c.p.p. (“assoluta necessità”), pure valorizzati dalla sentenza Bajrami, in difetto di diverso possibile riferimento normativo. La nuova previsione pone, peraltro, tre rilevanti interrogativi. A ) Se per “parte che vi ha interesse” debba intendersi soltanto quella che aveva chiesto l'esame in lista depositata ex art. 468 c.p.p. (di tal che risulterebbero tuttora valide le precisazioni operate in precedenza dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite, sulle modalità attraverso le quali tale diritto poteva essere esercitato da parte di chi non avesse originariamente chiesto in lista l'esame del quale si discuta); B ) Se la richiesta di rinnovazione formulata dalla “parte che vi ha interesse” costituisca un diritto potestativo, o possa essere valutata. Una delle prime dottrine intervenute in argomento (Natale 2022, 217) ha osservato che la novella supera decisamente il “diritto vivente Bajrami”, proprio su tale aspetto cruciale: «laddove la parte processuale chieda di assumere nuovamente una prova dichiarativa già raccolta, il diritto alla riassunzione della prova soffre limitazioni meno stringenti: in tal caso (...) il criterio di ammissibilità della prova dichiarativa sarà condizionato non all'indicazione delle “specifiche ragioni” che sorreggono la richiesta (come affermato nella sentenza Bajrami) ma alla mera presenza di una richiesta di assunzione della prova dichiarativa che risulti non vietata dalla legge o “non manifestamente” superflua o irrilevante. In tal caso il diritto della parte ad ottenere la riassunzione della prova è un diritto pressoché potestativo (ovviamente all'interno del perimetro delle prove ammissibili secondo gli ordinari criteri di valutazione)». C ) Quid iuris nel caso in cui il Tribunale non disponga (come accade notoriamente un po' dovunque) di mezzi di riproduzione audiovisiva, e non possa, quindi, documentare in tal modo gli esami svolti, onde evitarne la rinnovazione in caso di successivo mutamento della composizione del giudice. Come osservato dalla dottrina (Gialuz2022, 62 s.), in tal modo la novella «accoglie, in buona sostanza, un suggerimento proveniente dalla Consulta. Il giudice delle leggi – nella celebre sentenza n. 132 del 2019 – ha, infatti, individuato nella videoregistrazione delle prove dichiarative uno strumento “compensativo” idoneo ad assicurare la correttezza della decisione, salvaguardando, contemporaneamente, l'efficienza dell'amministrazione della giustizia. Il che – è evidente – finisce per attribuire una sorta di “patente” di legittimità costituzionale ex ante al meccanismo ideato dal delegante». La videoregistrazione della prova dichiarativa (specificamente imposta dal comma art. 2-bis dell'art. 510 c.p.p., introdotto dall'art. 30, comma 1, lett. i, d. lgs. n. 150 del 2022, in vigore, in difetto di una disposizione transitoria ad hoc, dal 30/12/2022, ed a norma del quale «L'esame dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici, delle parti private e delle persone indicate nell'articolo 210, nonché gli atti di ricognizione e confronto, sono documentati anche con mezzi di riproduzione audiovisiva, salva la contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico») dovrebbe assicurare il rispetto del principio di immediatezza (assicurando una documentazione «attendibile e puntuale dell'assunzione della prova»: così si esprime sul punto la Relazione della Commissione Lattanzi), nonché, ad un tempo, la durata ragionevole del dibattimento, evitando la rinnovazione degli esami svolti dinanzi a giudice la cui composizione sia successivamente mutata. Secondo la dottrina (Gialuz2022, 62 s.), tale forma di documentazione, «idonea a fotografare pure i tratti non verbali della dichiarazione, consentità al giudice di motivare facendo leva anche su questa sfumature dell'atto comunicativo, che oggi sfuggono alla documentazione dell'udienza e, dunque, alla motivazione ». Si trascura, peraltro, di considerare che oggi, in concreto, gli esami dibattimentali hanno luogo dopo un più o meno ampio lasso di tempo dal verificarsi del fatto oggetto di accertamento, il che non può non incidere sulla genuinità di quanto si pretenderebbe di ricavare dai “tratti non verbali” delle dichiarazioni, peraltro questa volta, in sede di rinnovazione dell'esame, rese in risposta a domande attese, perché già ricevute, e quindi conosciute, ed esponendo non necessariamente quanto costituente frutto del ricordo del fatto verificatosi tanto tempo prima, bensì quanto costituente frutto del ricordo delle risposte in ordine ad esso più recentemente già fornite; ed è quindi, almeno a nostro avviso, ben concreto il rischio di attribuire patenti di maggiore o minore attendibilità a seconda delle più o meno spiccate capacità recitative del dichiarante. La soluzione del problema richiederebbe, a nostro avviso, una riforma più ampia, che preveda l'assunzione delle prove dichiarative sempre e comunque in incidente probatorio, ovvero a meno distanza possibile dal verificarsi del fatto. La citata dottrina ha anche osservato che «la doverosa apertura nei confronti delle nuove tecnologie pare, in definitiva, aver consentito di tagliare un nodo gordiano, dando vita ad una soluzione equilibrata, idonea ad assicurare, nello stesso tempo, un adeguato standard di tutela del principio di immediatezza e una gestione più oculata del fattore tempo, evitando la ripetizione di attività processuali che potrebbero risultare in concreto del tutto inutili»: ma, se i predetti mezzi (ed i tecnici che li sappiano utilizzare) non saranno effettivamente forniti in numero adeguato agli uffici giudiziari (come temiamo stia accadendo), e se l'indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico diventerà la regola, la previsione di cui al comma 4-ter, di per sé considerata, si rivelerà canzonatoria. Qualche riflessione Non possiamo negare di essere affettivamente legati alla sentenza Bajrami (se non altro, perché la abbiamo scritta) e, quindi, di soffrire quando ne vediamo “bullizzati” i contenuti. Quale è , secondo la novella, la “parte interessata” a chiedere la rinnovazione di un esame dibattimentale ? Non è ben chiaro, anticipavamo. La sentenza Bajrami consentiva anche alla controparte di attivarsi con nuovo deposito di lista per fare proprio il teste “avverso”, e ciò aveva dovuto ritenere in difetto di una disposizione ad hoc, che oggi sembrerebbe (ma non è nemmeno sicuro) essere stata inserita ex novo. Dove sarebbe, quindi, l'attenuazione della “rigidità” della sentenza Bajrami ? secondo la “Bajrami”, il soggetto che non aveva indicato un teste in lista poteva chiedere la rinnovazione del suo esame presentando a sua volta nuova lista (previo riconoscimento del diritto ad ottenere la concessione del termine necessario per attivarsi), perché le disposizioni all'epoca vigenti consentivano solo questo; secondo la novella, può (forse) farlo direttamente. Ma quando fu deliberata la Bajrami, la novella non c'era. Cosa è un diritto “pressoché potestativo“ ? Non è ben chiaro, perché un diritto o è potestativo (in quanto il suo esercizio da parte del soggetto a ciò legittimato risulta non condizionato da alcunché) o non lo è. In cosa si distingue la valutazione , che la dottrina afferma espressamente dovere tuttora essere operata, sul fatto la prova da rinnovare non sia vietata dalla legge e non sia manifestamente superflua o irrilevante, da quella (che, come espressamente precisato in motivazione, andava operata ai sensi degli artt. 190 e 495 “anche sulla non manifesta superfluità della rinnovazione stessa”) cui la sentenza Bajrami condizionava la reiterazione dell'esame ? Non è facile comprendere neppure questo. In verità, a noi sembra piuttosto che la novella preveda che la rinnovazione dell'esame già svolto dinanzi a giudice diversamente composto, se richiesta dalla “parte che vi ha interesse” (ed è questo l'unica verifica che il giudice, nella nuova composizione, sarà chiamato ad operare), debba essere necessariamente disposta, senza alcuna possibilità di una diversa valutazione. Il problema è, peraltro, di determinare in cosa debba consistere questo interesse che legittima l'esercizio del diritto potestativo di ottenere la rinnovazione di un esame dibattimentale già svolto dinanzi a giudice diversamente composto (se non si disponga della sua videoregistrazione): – dovrà trattarsi di un interesse inteso in senso formale, ovvero consacrato dall'indicazione dell'esame di cui si discuta nella propria lista testi ? – dovrà trattarsi di un interesse in senso sostanziale, collegato alla necessità di approfondimenti ulteriori rispetto a quanto già dichiarato dal soggetto da esaminare ? – sarà sufficiente che si tratti di un esame “a carico” oppure “a discarico” specificamente riguardante circostanze di fatto inerenti alla posizione processuale dell'imputato per ottenerne la ripetizione anche pedissequa ? La Commissione Lattanzi aveva ritenuto «di particolare rilevanza la previsione legata al non infrequente problema della modifica della composizione del giudice o del collegio, che, alla stregua della nullità prevista nell'art. 525 comma 2 c.p.p., imporrebbe la necessaria rinnovazione delle prove già assunte»; richiamata la recente giurisprudenza costituzionale e di legittimità, che aveva inciso, restrittivamente, su tale garanzia di immediatezza, la Commissione «ha ribadito unanimemente la necessità che si agisca su tali, frequenti, situazioni – determinate spesso (seppur non esclusivamente) dal trasferimento dei magistrati interno all'ufficio o da un ufficio all'altro – attraverso regole ordinamentali che riducano gli effetti più evidenti e prevedibili di un trasferimento di ufficio: per la verità, sono già previsti spazi organizzativi – tanto da norme primarie che secondarie – per ridurre le disfunzioni collegate al mutamento del giudice; se utilizzati in modo rigoroso ridurrebbero la rilevanza del problema». Ed è questo, a nostro avviso, il vero problema: la rinnovazione del dibattimento già iniziato deve essere disposta solo in presenza dell'impossibilità assoluta di ricostituzione della composizione dell'organo giudicante, e non per esigenze transitorie: il caso del dibattimento rinnovato per ben quindici volte, con quindici conseguenti mutamenti del collegio, da un tribunale di grandi dimensioni, che nel 2022 ha originato le legittime proteste della locale Camera penale, è una anomalia non certo imputabile alla sentenza Bajrami. Ciò premesso, la Commissione Lattanzi aggiungeva che, sul piano processuale, «una plausibile soluzione è quella di sfruttare la previsione della necessaria videoregistrazione dell'assunzione di prove dichiarative. (…) tale modalità di verbalizzazione consentirà al nuovo giudice o componente del collegio, di apprezzare, ben oltre il limite intrinseco del verbale tradizionale, le dichiarazioni già assunte in precedenza. Fermo il diritto delle parti di chiedere la rinnovazione della prova orale ad ogni mutamento di composizione del giudice, la situazione oggi affermatasi, a seguito del consolidato indirizzo dettato dalle SU nel caso Bajrami, sarebbe significativamente migliorata dalla possibilità, per il giudice, di visionare la videoregistrazione e di disporre successivamente la rinnovazione della prova solo se sussistono specifici motivi». Non si intendeva, quindi, picconare il “diritto vivente Bajrami”, o almeno non è stato scritto di avere inteso farlo; ed anzi, è stato espressamente evocato “il diritto delle parti di chiedere la rinnovazione della prova orale ad ogni mutamento di composizione del giudice” come “oggi” esercitabile “a seguito del consolidato indirizzo dettato dalle SU nel caso Bajrami”, unicamente aggiungendo che la situazione “sarebbe stata significativamente migliorata dalla possibilità, per il giudice, di visionare la videoregistrazione”, oltre che di disporre successivamente la rinnovazione della prova solo se sussistono “specifici motivi” (e non più soltanto, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., in caso di “assoluta necessità”, come inevitabilmente – in difetto di diversa disposizione di legge – aveva dovuto ritenere la sentenza Bajrami). In cosa risiedono allora gli elementi di novità della novella rispetto al previgente “diritto vivente Bajrami”? Sicuramente nell'evocazione della possibilità di disporre della videoregistrazione dell'esame svolto dinanzi al giudice diversamente composto. Per il resto, ben può ritenersi, in difetto di indicazioni testuali difformi, e tenuto conto delle chiare indicazioni emergenti dalla Relazione della Commissione Lattanzi, che la novella non abbia inteso modificare il preesistente diritto vivente, al contrario recependolo, e limitandosi a spostare l'attenzione non più sulla eventuale manifesta superfluità od irrilevanza della pedissequa reiterazione di un esame già svolto dinanzi al giudice diversamente composto (che, ex art. 190 c.p.p., ne legittimava, secondo la sentenza Bajrami, la non ammissione), ma sull'interesse, necessariamente concreto, del richiedente, che quest'ultimo ha l'onere di allegare, e che il giudice cui venga richiesta la rinnovazione dell'esame deve conseguentemente valutare, ben potendo ritenere, quindi, che esso non sussista quando l'esame del quale venga in ipotesi chiesta la pedissequa ripetizione risulti manifestamente superfluo od irrilevante. Come si vede, spostando l'ordine dei fattori, il prodotto non cambia: la richiesta di pedissequa ripetizione di un esame dibattimentale già svolto dinanzi a giudice diversamente composto, che ieri poteva essere rigettata ex art. 190 c.p.p. se manifestamente superflua o irrilevante, può oggi essere rigettata per carenza d'interesse ad ottenerla ove la pedissequa ripetizione risulti manifestamente superflua od irrilevante. Se, al contrario, prevarrà l'orientamento per il quale la novella attribuisce alla “parte che vi ha interesse” (ma quale è?) il diritto potestativo di ottenere sempre e comunque la rinnovazione dell'esame non videoregistrato, il “nuovo” giudice potrà negare la rinnovazione dell'esame soltanto nei casi in cui ritenga lo stesso ab initio vietato dalla legge oppure manifestamente superfluo od irrilevante , dichiarando in tal modo inutilizzabile anche l'esame in precedenza assunto dal giudice diversamente composto. Successione di leggi nel tempo Ai sensi dell'art. 93-bis d. lgs. n. 150 del 2022 (introdotto dalla legge. n. 199 del 2022, di conversione del d.l. n. 162 del 2022), le predette nuove disposizioni di cui all'art. 495, comma 4-ter non si applicano “quando è chiesta la rinnovazione dell'esame di una persona che ha reso le precedenti dichiarazioni in data anteriore al 1° gennaio 2023”. Per gli esami resi fino al 31 dicembre 2022 continua, quindi, a trovare applicazione il “diritto vivente" consacrato dalla sentenza Bajrami. La prevista applicazione delle novella, in riferimento agli esami resi in dibattimento a partire dal 1° gennaio 2023, dovrebbe lasciare intendere che, a partire da tale data, tutti gli uffici giudiziari saranno dotati di mezzi di riproduzione audiovisiva atti a documentare gli esami svolti, onde evitarne la rinnovazione in caso di sopravvenuto mutamento della composizione del giudice. Ma sarà davvero così ? Le prime applicazione giurisprudenziali. Una delle prime applicazioni giurisprudenziali di merito della nuova disciplina introdotta dall’art. 495, comma 4 (Trib. Tempio Pausania 10/07/2023, in www.ilpenalista.it ), riguardante un caso nel quale le dichiarazioni de quibus erano rese dinanzi al collegio (la cui composizione sarebbe successivamente mutata) prima dell’entrata in vigore dell’art. 510, comma 2-bis, c.p.p., premesso che «sarebbe illogico ed irragionevole (…) attribuire alla difesa un diritto alla rinnovazione dell’istruttoria in assenza di un corrispondente obbligo, da parte del tribunale, alla video-registrazione delle testimonianze», ha rigettato la richiesta di rinnovazione, osservando che l’art. 93-bis d. lgs. n. 150 del 2022, «nel prevedere che il diritto alla rinnovazione di cui all’art. 495, comma 4-ter, c.p.p. non si applica per le dichiarazioni rese in data anteriore al 1° gennaio 2023, non implica, per ciò solo, che detto diritto possa legittimamente esercitarsi, in maniera automatica, a decorrere da quella stessa data. Ed infatti (…) deve ritenersi che la predetta disposizione vada intesa nel senso che il diritto in questione possa esercitarsi certamente, in tutti i casi, per la prove dichiarative assunte (non video-registrate) successivamente al 1° luglio 2023, mentre prima di tale data [può essere esercitato] solamente nell’ipotesi in cui il tribunale si sia dotato degli strumenti di videoregistrazione e non li abbia, tuttavia, attivati per l’assunzione della singola testimonianza». La decisione ha destato perplessità in parte della dottrina (SPANGHER 2023), per la quale, in tali casi, «mancando la videoregistrazione ci troveremmo in una situazione senza videoregistrazione e senza rinnovazione»; si è, inoltre, sottolineato che, prima dell’ammissione della chiesta rinnovazione, restava comunque da valutare il profilo dell’interesse, in ordine al quale la delega non contiene indicazioni, e che, peraltro, «non incide sul rapporto con la videoregistrazione, ma data per possibile la rinnovazione condiziona il diritto del richiedente» BibliografiaADORNO, Ammissione delle prove, in Trattato di procedura penale, diretto da SPANGHER, IV, t. II, Procedimenti speciali. Giudizio. Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, a cura di SPANGHER- FILIPPI, Torino, 2009, 141; ADORNO, Omessa citazione o presentazione del teste per il dibattimento e rinuncia tacita alla prova, in Foro it. 2011, II, 175; APRATI, Prove contraddittorie: id est il diritto al contraddittorio sul medesimo tema probatorio, in Dir. pen. e proc. 2006, 627; BELTRANI, Il dibattimento penale monocratico, Torino, 2003; CANZIO, “Diritto alla prova”, prova contraria e parte civile, in Foro it. 1997, V, 403; CONFORTI, Sul contenuto e sui limiti del diritto alla “prova contraria”, in Cass. pen. 1996, 3011; COPPETTA, Sub art. 495, in CONSO- GREVI, Commentario breve al codice di procedura penale, Padova 2005, 1761; D'ANDRIA, Sub art. 495, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, diretta da LATTANZI- LUPO, VI, Agg. 2003-2007, (artt. 465-567), a cura di D'ANDRIA- FIDELBO- GALLUCCI, Milano, 2008, 85; DE CARO, Ammissione e formazione della prova nel dibattimento, in La prova penale, II, Le dinamiche probatorie e gli strumenti per l'accertamento giudiziale, diretto da GAITO, Torino 2008, 368; DE FALCO, Rinuncia al teste: poteri delle altre parti e del giudice, in Cass. pen. 1998, 134; DI PALMA, Art. 495 comma 2 c.p.p. e perizia quale presunto mezzo di prova “neutro”, in Cass. pen. 1995, 2937; FANUELE, Un difficile punto di equilibrio tra il diritto alla prova delle parti e il controllo di legalità del giudice nel procedimento probatorio, in Cass. pen. 2001, 907; ; Gialuz, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della Riforma Cartabia, Sist. pen. 2022, 1/91; Grilli, Il dibattimento penale, Padova, 2007GRILLI, Il dibattimento penale, Padova, 2003; GUARINIELLO, Il processo penale nella giurisprudenza della Corte di cassazione, Torino, 1994; ILLUMINATI, Ammissione e acquisizione della prova nell'istruzione dibattimentale, in FERRUA-GRIFANTINI- ILLUMINATI- ORLANDI, La prova nel dibattimento penale, Torino, 2010, 73; LEONE, Sull'ammissibilità del controesame o della controprova nell'ipotesi di rinuncia all'esame principale, in Cass. pen. 1997, 1522; MANNUCCI, Osservazioni a Cass., sez. V, 28 marzo 2000, Nicoletta, in Cass. pen. 2001, 2404; MERCONE, Il regime delle indagini integrative del pubblico ministero, in Cass. pen. 1996, 2660; Natale, Il giudizio, in AA.VV., La riforma del sistema penale. Commento al d. lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 (c.d. Riforma Cartabia), a cura di Bassi e Parodi, Milano 2022, 197/220; PAULESU, Giudice e parti nella “dialettica” della prova testimoniale, Torino, 2002; PICCIOTTO, Diritto alla prova e poteri valutativi del giudice: le « deviazioni » della prassi giurisprudenziale, in Giust. pen. 2002, III, 654; PLOTINO, Il dibattimento nel nuovo codice di procedura penale, Milano, 1996; POTETTI, Vicende del diritto alla prova nella fase del giudizio, in Cass. pen. 1994, 1399; POTETTI, Brevi note in tema di rinuncia alla prova, in Cass. pen. 1995, 3577; POTETTI Corte cost. n. 535/95: perplessità in tema di prova contraria, in Cass. pen. 1996, 1371; RAFARACI, La prova contraria, Torino, 2004; RAMAJOLI, Il dibattimento nel nuovo rito penale, Padova, 1994; RIVELLO, Il dibattimento nel processo penale, Torino, 1997; SICO, Rinuncia alla prova o revoca del provvedimento di ammissione?, in Cass. pen. 1998, 1669; SILVESTRI, L'ammissione delle prove, in APRILE- SILVESTRI, Il giudizio dibattimentale, Milano, 2006, 183; SILVESTRI, Diritto alla prova contraria e revoca dell'ammissione della prova, in Cass. pen. 2008, 638; SILVESTRI, Omessa citazione del teste e diritto alla prova, in Cass. pen. 2008, 4686; SPANGHER, La rinnovazione della prova dichiarativa per mutamento del giudice nel labirinto della Cartabia, in www.ilpenalista .it, 2023;VICOLI, La citazione del testimone tra poteri ordinatori del giudice dibattimentale ed oneri delle parti, in Cass. pen. 2002, 630. |